martedì 11 novembre 2008

La protesta non si ferma. Gli spiccioli non bastano

Mercoledì 12 novembre, ore 18:00, porticato palazzo Ducale (Giurisprudenza)
Assemblea Studentesca.

Le proteste proseguono ininterrottamente in tutta Italia da oltre un mese e il Governo non mostra alcuna volontà di modificare la sua posizione. Tenta invece di allungare i tempi sperando che la tensione cali, sfornando piccole modifiche che dovrebbero gettare fumo negli occhi.
I tagli indiscriminati, i vincoli distruttivi, le norme per la svendita delle Università e per la morte della libera Ricerca e dell'Istruzione Pubblica e di Qualità rimangono.

Gli spiccioli non ci bastano.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

non solo corteo.. c'è anche l'assemblea il 15 e 16 (!)

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L'ONDA PREPARA LA GRANDE MAREGGIATA!
Appello della Sapienza Occupata per l'Autoriforma dell'Università
in vista dell'assemblea nazionale dell'Onda del 15 e 16 novembre.

Abbiamo attraversato settimane di intensa mobilitazione, che hanno
visto la partecipazione di migliaia di studenti e precari di tutte le
università, nelle occupazioni, nelle manifestazioni spontanee, nei
blocchi dei nessi produttivi nelle città. La parola d'ordine, che ha
viaggiato con la rapidità della propagazione delle onde, «Noi la crisi
non la paghiamo!», è l'espressione di un'intelligenza collettiva che
si forma nelle lotte ed esprime completa il rifiuto a pagare i costi
della crisi globale. Da più di un mese assistiamo al crollo
sistematico delle borse mondiali, preludio alla vera crisi, quella
dell'economia reale.Chi è sopravvissuto fino ad oggi indebitandosi con
le banche sarà esposto al rischio di perdere da un lato la capacità
d'acquisto e dall'altro la fonte principale di finanziamento
dell'apparato produttivo e industriale. In Italia la risposta del
governo è chiara: racimolare soldi tagliando indiscriminatamente la
spesa pubblica per sostenere il sistema bancario.
La legge 133 prevede infatti una serie di provvedimenti volti a
"razionalizzare e ridurre la spesa e il debito pubblico". Tra i
settori che più vengono colpiti da tagli e privatizzazioni ci sono
scuole, università e ricerca. Infatti, insieme alla drastica riduzione
del personale, si prevede la possibilità per gli atenei di
trasformarsi in fondazione di diritto privato, cancellando così il
carattere pubblico dell'istruzione come sancito dalla Costituzione.
Non ci sorprendiamo, sono ormai 15 anni che universita' e ricerca non
vengono considerati come settori strategici in cui investire, sia dai
governi di centrodestra che di centrosinistra. Crediamo che l'uscita
dalla crisi sarà possibile solo investendo in un modello capace di
coniugare maggiori investimenti nelle scuole, nell'università e nella
ricerca, pubblica e libera dalla dicotomia stato-mercato.
Noi la crisi non la paghiamo! Significa in primo luogo la richiesta di
abrogazione delle leggi 133 e 137, in quanto strumenti principali di
dismissione di scuola ed università.
Occorre ora continuare ad immaginare una nuova analisi adeguata alla
controffensiva proposta dal Governo proprio in questi ultimi giorni.
Le linee guida dell'ultimo decreto Gelmini sull'università, aldilà
delle presunte "astuzie" comunicative, ci consegnano il quadro più
complessivo del tentativo di riforma: differenziare i finanziamenti
per gli atenei, usare la retorica del merito per dequalificare i
saperi e costruire gerarchie nel mercato del lavoro, imporre una
presunta logica dell'efficienza produttiva per innalzare le rette,
rafforzare i numeri chiusi e introdurre i prestiti d'onore, ovvero
quel meccanismo del debito che sostanzia i processi di
finanziarizzazione del welfare, così come la loro crisi. Proprio tale
dispositivo (ampiamente dispiegato nella corporate university, ma che
già qualifica in nuce la specificità del sistema didattico del 3+2 e
dell'ultimo decreto di Mussi) diventa proposta politica ed economica
da un lato
per privatizzare – ovvero abbandonare alla sua inerziale rovina –
l'università, dall'altro far pagare direttamente agli studenti i costi
della formazione. Di fronte a questo programma, la proposta di
copertura delle borse di studio per gli idonei non vincitori, è una
magra consolazione, il tentativo di un Governo in profonda crisi di
avanzare una mediazione minima, nel tentativo di innalzare una flebile
diga per arginare qualcosa di molto travolgente. Questo qualcosa si
chiama onda anomala.
L'assemblea nazionale del 15 e il 16 novembre sarà un'occasione di
discussione importante per tutte le facoltà e gli atenei in
mobilitazione, non solo per intensificare la critica rispetto alla
legge 133 e ai futuri sviluppi delle politiche di governo, ma
soprattutto per concepire una prima discussione che si ponga come
obiettivo quello di garantire l'estensione e la durata di questo
movimento. Progetto solo in apparenza ambizioso, se si considera che
le condizioni per dare una dimensione di complessività e di continuità
a questa protesta già si stanno affermando: questo movimento, infatti,
nel contestare delle riforme specifiche, già rivolge una critica più
ampia a tutto il sistema della formazione e del lavoro. Nel corso di
questa mobilitazione, infatti, ogni giorno già poniamo in essere un
modo radicalmente differente di attraversare e vivere le nostre
università, di creare saperi, di condividere conoscenze e relazioni,
di costruire e
ripensare alla radice il concetto di pubblico.
Si tratta ora, con questa prima discussione nazionale, di definire un
progetto ampio che riesca ad immaginare i discorsi e le pratiche
comuni attraverso cui continuare a far vivere la straordinarietà di
quello abbiamo fin qui prodotto. Si tratta allora di progettare
un'autoriforma, cioè di dar vita non solo ad un'assemblea
programmatica, ma ad un momento costituente, in cui tutti insieme
definire una proposta di riforma possibile per l'università. Criticare
il definanziamento e il progetto di dismissione del sistema formativo
significa infatti non attestarsi alla conservazione dell'università
esistente, come l'abbiamo vissuta fino ad adesso, perché
quell'università è il luogo di moltiplicazione della precarietà, di
dequalificazione dei saperi, della subordinazione al potere baronale.
La sfida, ben più radicale, è di individuare le tracce progettuali
attraverso cui trasformare l'università, non in un più o meno lontano
futuro ma
nel presente.
L'unica riforma possibile è quella che abbiamo già iniziato a
praticare, come studenti, ricercatori e dottorandi, il sapere vivo che
anima i diversi settori della formazione. L'autoriforma è per noi
l'affermazione concreta di quell'esercizio di libertà collettiva che
stiamo conquistando, la pretesa minima di un movimento che già si sta
esprimendo in tutta la propria indipendenza e irrapresentabilità da
partiti e sindacati. Rifiutare di delegare ad altri la decisione
sull'università, significa cominciare a definire linee di
autonormazione attraverso cui far vivere un nuovo modello della
formazione.
L'autoriforma è infine il modo per continuare ad agire, come stiamo
già facendo, all'altezza e oltre la crisi, per costruire tutti insieme
un campo nuovo di possibilità dentro e fuori le università,
continuando a propagare e ad organizzare le onde. Perché il tempo
della trasformazione è qui e comincia ora. Anzi, è già cominciato.

Proponiamo, dopo una prima plenaria di presentazione dei lavori
gestita dalla Sapienza in mobilitazione, la suddivisione
dell'assemblea in tre workshop tematici: Didattica, Welfare e diritto
allo studio, Formazione e lavoro. Al loro termine le presidenze dei
workshop si riuniranno per definire dei report da presentare il giorno
successivo in plenaria assieme ad una proposta di agenda politica. In
contemporanea si svolgerà una riunione per affrontare il tema delle
forme organizzative e di coordinamento degli atenei in mobilitazione.

SABATO 15 NOVEMBRE

10.30- 13.00 Plenaria

13.00- 14.00 Pranzo

14.00- 17.30 Workshop

17.30- 18.00 Coffee Break

18.00- 21.00 Workshop

21.00- 23.00 Riunione delle presidenze dei Workshop (report dei tre
punti tematici e agenda)
Riunione sulle forme di autorganizzazione del movimento
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DOMENICA 16 NOVEMBRE
9.00- 12.00 Plenaria
12.00- 16.00 Assemblea Scuola e Università



PRIMO WORKSHOP
Didattica

Le riforme che hanno ridisegnato l'università negli ultimi quindici
anni l'hanno consegnata all'interno di un paradosso: proprio nel
momento in cui si poneva il problema della capacità di fornire una
formazione in grado di introdurre al mondo del lavoro, tanto più si
produceva precarietà, crisi, mal funzionamento. Una generazione intera
è stata utilizzata come cavia per esperimenti mai riusciti. La
famigerata "riforma Zecchino" partiva dai seguenti presupposti:
l'università italiana produceva un numero ridotto di persone con un
livello di formazione eccellente, ed in un tempo troppo lungo; i
laureati erano troppo pochi e troppo in avanti con gli anni rispetto
ai loro colleghi europei. Troppe persone andavano fuori corso, non si
laureavano o si laureavano in tempi troppo lunghi. Il "3+2" nasceva
quindi con l'obiettivo di concepire una nuova laurea, la triennale, in
grado di fornire velocemente un grosso numero di studenti spendibili e
competitivi nel mercato del lavoro italiano ed estero. Si trattava
insomma della produzione di quel "capitale umano" divenuto ormai
strategico nell'epoca della globalizzazione: la trasformazione della
forza-lavoro in soggetti economici in grado di muoversi come
"imprenditori di sé stessi", attraverso un livello di competenze
attestato che rendesse autonomi, in grado di aumentare la propria
efficienza e il proprio valore lungo il corso del tempo, e che
permettesse, nello stesso tempo, un livello di reddito adeguato. La
ristrutturazione dei percorsi formativi, e l'introduzione del sistema
dei crediti seguivano il medesimo intento: da una parte, finalizzare
il curriculum ad un profilo professionalizzante e introdurre una
stretta cogenza tra questo e gli ambiti disciplinari; dall'altra,
misurare, attraverso la quantificazione in crediti del "lavoro"
universitario accumulato, le competenze professionali.
Oggi assistiamo al completo fallimento della riforma. Nulla di tutto
quello che era stato messo in campo ha sortito il suo effetto, ed anzi
l'università italiana versa da allora in uno stato di crisi continua.
Il sistema del "3+2" non è riuscito in alcun modo a determinare quel
filtro in funzione del quale era stato pensato; presto ci si è resi
conto che la laurea triennale ha permesso al massimo un lavoro
sottopagato, dequalificato e precario, e per di più fin da subito si è
innescata l`esigenza di ulteriori livelli di formazione. La
proliferazione degli esami ha prodotto un'evidente frammentazione dei
saperi, il conseguente sviluppo di un sapere tecnicistico e destinato
ad una rapida obsolescenza a scapito di una formazione complessiva e
critica. Se a questo si aggiunge l'introduzione delle prove in itinere
e la frequenza obbligatoria è evidente il forte irrigidimento dei
tempi di vita e di studio.
D'altra parte c'era da aspettarselo: la trasformazione dell'accademia
da servizio pubblico a soggetto economico erogatore di prestazioni, la
liberalizzazione dei servizi formativi e la deregolamentazione del
mercato delle competenze non poteva fare altro che diminuire il potere
contrattuale degli studenti e dei precari della ricerca. E così un
sistema didattico imbrigliato e asservito alla logica della
misurazione è divenuto il luogo attraverso cui inoculare il senso di
inadeguatezza rispetto al mercato del lavoro: manchevolezza continua
rispetto alle richieste delle imprese e dell`università, necessita di
riempire il tempo privato con uno studio mai riconosciuto, e richiesta
di stages e tirocini sottopagati se non gratuiti o di master
costosissimi. In questo contesto pensare un'autoriforma della
didattica significa cominciare ad agire nell'università una
trasformazione radicale.A questo proposito è necessario avviare un
ragionamento
riguardante l'accorpamento degli esami, l'abolizione del sistema del
credito, della frequenza obbligatoria e dei numeri chiusi; la messa in
discussione dell'attuale sistema didattico basato su una trasmissione
verticale del sapere, tanto attraverso una didattica partecipata
quanto tramite percorsi di autoformazione autogestiti dagli studenti.
Svincolare i propri progetti di studio, ripensare percorsi
universitari all'insegna dell'autonomia, liberare il proprio tempo e
la circolazione dei saperi, tutto ciò costituisce l'unica via
nell'università riformata per garantire l'indipendenza della ricerca e
la riqualificazione dei processi formativi.



SECONDO WORKSHOP
Welfare e diritto allo studio

Nell'ambito del progetto di autoriforma dell'università, la
connessione tra welfare e diritto allo studio è elemento centrale del
nostro dibattito in vista della costituzione di un'università autonoma
dalla dicotomia stato/mercato.
I ministri Tremonti e Gelmini tentano di mettere a sistema la
possibilità di contrarre prestiti da parte degli studenti per poter
finanziare il proprio percorso formativo (laurea, master,
specializzazioni). L'aumento vertiginoso delle tasse universitarie,
auspicato dai progetti di riforma del governo, e il rafforzamento del
meccanismo dei prestiti d'onore costituiscono un dispositivo di
indebitamento che, come dimostrano le accademie anglosassoni,
amplifica il processo di precarizzazione che già da anni ha investito
i soggetti della formazione. Non è più in questione solo l'esclusione
dall'università, anzi, la richiesta di formazione è incomprimibile: i
prestiti d'onore consentono di utilizzare un welfare privatizzato in
assenza di fondi pubblici e investimenti privati.

Pensiamo ad un tavolo che riesca a dar vita ad una discussione
adeguata al problema della crisi sia finanziaria che dell'università:
continueremo ad opporci ad una logica che ci vuole vedere indebitati
per poter accedere alla formazione universitaria, anzi, rivendichiamo
denaro per poter decidere del nostro presente. La richiesta di reddito
diretto per tutti i soggetti sociali, o il salario sociale dei
soggetti in formazione, costituiscono un punto centrale all'interno
del progetto di autoriforma dell'università: sono la misura di
quell'autonomia soggettiva che ci libera dal ricatto del lavoro
precario.
Così come si tratterà di definire un progetto complessivo che riesca a
dar vita a dei percorsi vertenziali di rivendicazione delle forme di
reddito indiretto: come é alla base di molti sistemi di welfare
europei, vogliamo usufruire di servizi fondamentali come la casa, le
borse di studio, le mense, l'accesso alla cultura (cinema, libri di
testo, teatri, musei, tecnologie informatiche) e ai trasporti, per
garantire la libera mobilità di studenti, dottorandi e ricercatori.


TERZO WORKSHOP
Formazione e lavoro

Università e lavoro rappresentano un connubio inscindibile dal quale
un progetto di autoriforma non può prescindere.
Oggi l'offerta didattica, asse portante dell'università, è in larga
misura condizionata e subordinata alle necessità del mercato del
lavoro, quando non direttamente asservita alle richieste del piccolo e
medio imprenditore locale. Al contrario riteniamo che invece dovrebbe
garantire la definizione di percorsi formativi e di ricerca liberi da
logiche economiche e di potere. Pensiamo che la ricerca debba essere
autonoma ed indipendente, libera di scegliere tempi e campi di
indagine, con la società come unico interlocutore legittimo.
Per questo innanzitutto è indispensabile avviare un reale processo di
democratizzazione dell'intero sistema universitario, nell'ottica di un
cambiamento strutturale capace di eliminare gerarchie, baronato e
cristallizzazioni di potere che contribuiscono ad una polarizzazione
nella produzione del sapere e a scelte deformate da interessi
particolari. A questo proposito pensiamo sia necessario discutere
l'abolizione delle classi di docenza per favorire, anche tramite
concorso nazionale, differenti sistemi di reclutamento e finanziamento
per dottorandi e ricercatori. E' altrettanto evidente la necessità di
rivisitare i sistemi valutativi correnti della didattica e della
ricerca, superando l'attuale retorica di meritocrazia ed eccellenza,
iniziando a ragionare su quali debbano essere i soggetti preposti alla
valutazione, secondo quali criteri essi debbano valutare e con quali
scopi.
Considerando inoltre che i lavoratori precari sono diventati un
elemento strutturale del sistema universitario, ci poniamo il problema
di ridiscutere le attuali forme contrattuali partendo dall'abolizione
di tutti i contratti "atipici", nonché degli stages gratuiti e dei
tirocini non retribuiti. L'instabilità lavorativa da una parte limita
lo sviluppo dell'indipendenza e dell'autonomia del ricercatore,
dall'altra disincentiva l'accesso ai percorsi formativi della ricerca.
Ad un livello più generale, proponiamo un'analisi critica complessiva
del modello di università–impresa inserita nel contesto economico,
culturale e sociale neoliberista, nel tentativo di ripensare i
meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro che ruota attorno
agli atenei. In questo contesto è di particolare importanza una
discussione in merito alla possibilità che le università pubbliche si
trasformino in fondazioni di diritto privato, introdotta nell'art.16
della
legge 133, con particolare riferimento alle questioni dei canali di
finanziamento, della gestione della proprietà intellettuale (brevetti,
copyright, ecc.), del reinvestimento degli utili e dello status
giuridico della docenza. Questo provvedimento ci appare in aperto
contrasto con i criteri di democratizzazione e autonomia della ricerca
che riteniamo fondativi di questa autoriforma.



Infine invitiamo tutti gli atenei ad una riflessione sul tema
dell'autorganizzazione del movimento, intendendo con questo termine la
ricerca di forme decisionali che rispettino l'autonomia dei singoli
atenei in lotta e che al contempo garantiscano la continuità
organizzativa di tutto il movimento, in quanto tale questione
costituisce una delle premesse necessarie per un'autoriforma dal basso
dell'università. Rispettando le molteplici espressioni locali del
movimento, riteniamo che tale argomento non possa essere trattato in
un workshop specifico, respingendo così ogni ipotesi di separazione
tra forme e contenuti. Per questa ragione il tema
dell'autorganizzazione sarà oggetto di dibattito dell'assemblea
plenaria e di una riunione tematica che si terrà nel corso della prima
giornata.

FabioT ha detto...

leggete TUTTI quà.

http://genova.repubblica.it/dettaglio/articolo/1544310

è sconcertante. da più di 7 anni si parla si sparla e si sparano cazzate sul G8 di genova e sul raid alla Diaz. un morto, persone ferite, torturate, picchiate senza motivo, ingiustamente incolpate e calunniate.
fortuna che alla BBC non hanno paura di pubblicare la verità. perché a questo punto devo credere che in italia ci sia la PAURA di pubblicare la verità.
che poi la verità si è sempre saputa.
solo che quelle immagini (girate da un operatore RAI) che ci sono sempre state e che ora hanno reso pubblica la verità, sono venute a galla, agli occhi di tutti, un pò in ritardo e non per merito della (omerosa) stampa italiana.

nei commenti all'articolo si fa riferimento a fascis* e comunis*. su questo non mi pronuncio, ma ritengo che la figura dell'infiltrato fa paura. fa pensare a macchinazioni più grandi. fa pensare ad una distopia terrificante.

e intanto un ex pres. della repubblica, col marchio 'SS' nel nome, se ne esce con dichiarazioni in stile III reich. e nessuno che gli chieda spiegazioni.

che fare?

Anonimo ha detto...

Appoggiamo anche noi!!!!!!!

La Rete Docenti Precari Marche, rete di docenti precari della scuola pubblica, appoggia la lotta degli universitari contro i tagli. E' la stessa lotta che conduciamo noi contro le leggi 133 e 169 che riducono il tempo scuola, aumentano il numero di allievi per classi, chiudono scuole. Insieme ci siamo ritrovati il 17 e il 30 ottobre e insieme le nostre resistenze continueranno a incrociarsi, perché l'avversario è lo stesso, così come è la stessa anche la speranza per una scuola e una università a misura di bambino/adolescente/giovane.
Vediamo dunque con grande partecipazione la manifestazione del 14 novembre e speriamo che sia un'altra sonora dimostrazione di come la nostra comune lotta non si ferma.